Cookie Consent by Free Privacy Policy website Il settore della pelletteria italiana nel 2020
aprile 27, 2021 - Assopellettieri

Il settore della pelletteria italiana nel 2020

La pandemia presenta il conto: nel 2020 crollano produzione industriale e fatturato, che registrano flessioni superiori a 1/3 rispetto ai livelli raggiunti nel 2019.
Pesanti arretramenti sia sul fronte dell’export – che ha perso 2,7 miliardi di euro nel corso dei 12 mesi, annullando quasi interamente la forte espansione del biennio precedente – che nelle vendite al dettaglio in Italia (-24,4%), duramente colpite dalle misure restrittive. Malgrado il comprensibile incremento degli acquisti online, si riducono significativamente i consumi delle famiglie e crolla lo shopping dei turisti. Cali generalizzati – e quasi sempre a doppia cifra – sui mercati più importanti, con rarissime eccezioni; nel Far East tengono le due principali destinazioni (+0,5% per entrambe), pur con una contrazione in volume: Corea del Sud, divenuta terzo cliente in valore, e Cina continentale (grazie ad un deciso recupero negli ultimi mesi).
Si è ridotto del -27,8% l’attivo del saldo commerciale settoriale.
Per il comparto della #pelletteria italiana, dunque, nessun rimbalzo significativo dopo il lockdown primaverile. Chiusura d’anno decisamente sottotono e avvio 2021 ancora sfavorevole: dopo gli acquisti delle festività natalizie, la nuova ondata pandemica colpisce duramente anche la stagione dei saldi, allontanando la ripartenza. Prosegue la selezione tra le imprese (quasi 200 in meno rispetto al 2019, tra industria e artigianato) e affiorano tensioni occupazionali: 8 aziende su 10 intervistate sono ricorse agli ammortizzatori nel quarto trimestre. Nell’intera filiera pelle sono state autorizzate nel 2020 83 milioni di ore di cassa integrazione guadagni (+900% sul 2019).

Tutte le principali variabili settoriali hanno evidenziato nel 2020 dinamiche marcatamente negative, con miglioramenti poco significativi nel terzo e nel quarto trimestre. La recrudescenza dei contagi ha infatti indotto in autunno un nuovo rallentamento delle attività, rinviando ulteriormente l’atteso rimbalzo, per il quale si dovrà attendere la diffusione su larga scala delle campagne vaccinali.

L’indice Istat della produzione industriale fa segnare a consuntivo un calo del -33,9% su gennaio-dicembre 2019. Dopo il crollo del bimestre marzo-aprile di lockdown e ritmi molto ridotti in maggio-giugno, il terzo trimestre ha registrato contrazioni attorno al -30%. Nell’ultima frazione dell’anno, dopo un incoraggiante -3,3% ad ottobre, l’attività produttiva ha subìto una nuova forte frenata: -25% a novembre e -23% a dicembre.
Indicazioni analoghe provengono dalla rilevazione condotta dal Centro Studi di Confindustria Moda su un campione di aziende associate ad #Assopellettieri, secondo cui solo l’8% degli intervistati ha raggiunto o superato nel 2020 le quantità prodotte l’anno precedente, a fronte di arretramenti superiori al -35% per oltre la metà del panel.

La stessa indagine ha rilevato l’andamento dei fatturati delle aziende nel corso del 2020. Eloquente la distribuzione delle risposte: per metà del campione (52%) la diminuzione è risultata compresa tra il -20% e il -50%; e un ulteriore 24% ha sperimentato flessioni dei ricavi addirittura superiori al -50%.

Nell’insieme il panel ha registrato un calo medio nel fatturato del -36,9% sul 2019, che – se applicato all’intero settore – porterebbe ad una perdita annua di 3,3 miliardi di euro. Si passerebbe dai 9 miliardi (stimati considerando le sole aziende con sede sul territorio italiano) a 5,7 miliardi. Pur se di natura campionaria, un’indicazione delle forti difficoltà che le aziende stanno affrontando dall’inizio della pandemia.

Sul versante interno, l’indice Istat del valore delle vendite al dettaglio di “Pelletteria e calzature” mostra, con riferimento all’intero 2020, una flessione del -24,4% sul 2019, su cui pesano ovviamente i due mesi primaverili di sospensione delle vendite fisiche, le minori occasioni di utilizzo dei beni determinate dalle misure preventive, ma anche il clima di sfiducia dei consumatori, in una fase economica caratterizzata da grande incertezza per il futuro. Malgrado la comprensibile crescita dell’e-commerce, dunque, gli acquisti delle famiglie italiane nel 2020 hanno subìto un calo considerevole.
Dopo un agosto “promettente” (-0,7% sullo stesso mese 2019), in settembre e ottobre la domanda interna ha perso di nuovo vigore (-8,7%), per poi crollare a novembre (-45,5%), quando sono state introdotte ulteriori misure restrittive per fronteggiare la nuova ondata emergenziale. Pesanti ripercussioni si sono avute anche a dicembre, un mese cruciale per lo shopping di abbigliamento e accessori per i regali natalizi (-14,4%).
Ad aggravare il quadro va poi considerato, ovviamente, il crollo degli acquisti dei turisti, che ha colpito particolarmente i prodotti dell’alto di gamma.

Per quanto riguarda la domanda estera, nel 2020 l’export ha fatto segnare un sensibile arretramento, sia in valore (-25,5% sul 2019) che in KG (-22,7%), mettendo bruscamente fine al trend espansivo degli ultimi anni: sono stati esportati beni di #pelletteria per 7,8 miliardi di euro, corrispondenti a 50,7 milioni di KG. In calo del -3,5% il prezzo medio al KG.
Nel corso del 2020 le vendite estero hanno perso quasi 2,7 miliardi di euro. L’export è così tornato appena sopra i livelli del 2017, “bruciando” repentinamente gran parte del marcato incremento conseguito nel biennio 2017-2019 (+40% in valore).
Nei KG, invece, per trovare una dinamica così penalizzante bisogna tornare addirittura a 9 anni addietro (2011), subito dopo la crisi economica mondiale.
Come per le altre variabili, anche per l’export l’andamento degli ultimi due trimestri dell’anno è risultato ancora largamente inferiore alle attese (-18% in valore il terzo e -20% a ottobre- dicembre), non apportando miglioramenti significativi rispetto alla prima metà dell’anno, fortemente penalizzata dal -61% registrato nel bimestre marzo-aprile di lockdown.

Tutte le principali tipologie merceologiche presentano flessioni rilevanti. Le borse (di gran lunga la voce più esportata, con un’incidenza del 65% sul fatturato estero) mostrano cali del -21,2% in valore; le valigie attorno al -24%; ancor più insoddisfacenti i trend per la piccola #pelletteria (vale a dire portafogli, borsellini, portachiavi e oggetti da tasca o borsetta, -33%) e le cinture (nell’ordine del -40%, sia in valore che in KG).
Esaminando le voci per materiale, nell’insieme i prodotti in pelle – tipici della produzione Made in Italy, che rappresentano oltre il 70% del totale a valore – denotano contrazioni più pesanti (-30% circa, sia in valore che in KG) rispetto a quelli in succedaneo, il cui export è sceso del -15% in valore e del -17% nei KG.

Anche l’analisi per destinazione evidenzia arretramenti in quantità e valore per quasi tutti i mercati. Rarissime le eccezioni: nella graduatoria per valore, tra i primi 25 Paesi di sbocco solo Corea del Sud (+0,5%), Cina (+0,5%, grazie al recupero registrato nell’ultimo trimestre dell’anno, +34%) e Polonia (+4,9%) mostrano un debole segno positivo a confronto con gennaio-dicembre 2019 (accompagnato peraltro da flessioni nei KG). Grazie a questo risultato, la Corea del Sud (cresciuta del 77% in valore nei tre anni precedenti) è salita al terzo posto del ranking, nel 2019 occupato dagli USA ora quinti (che invece denotano, rispetto al consuntivo 2019, cali di oltre il 30% sia in valore che in volume). Nessun Paese tra i primi 25, invece, presenta incrementi nei KG.
Una marcata riduzione (prossima al -38% in valore) ha interessato i flussi diretti in Svizzera, prima destinazione dell’export in valore e da tempo piattaforma logistico-distributiva dei grandi brand internazionali del lusso.
L’Unione Europea (da quest’anno considerata a 27 membri, post Brexit) segna globalmente un decremento del -19% in valore e del -21,5% nei KG. Perde l’8,5% in valore la Francia (con un -4,8% nei KG), altra tradizionale destinazione di produzioni conto terzi eseguite per le griffe, che diventa il primo cliente in quantità degli operatori italiani, scavalcando la Germania (che perde il -19% in valore e il -13,4% nei KG).
Tra i Paesi extra-UE – che evidenziano in valore nell’insieme una contrazione più pesante rispetto ai mercati comunitari, pari al -28% – il Far East cede nel complesso il -12% in valore e il -19% nei KG, con cali notevoli in diverse nazioni (Giappone -13,4% in valore, Hong Kong -30%, Macao -21%, Singapore -45%).
Male anche Russia ed Emirati Arabi (-17% e -26% rispettivamente in valore), come pure Canada (-24%) e Regno Unito (-22,5%, con il quale la UE ha siglato a fine dicembre un accordo sugli scambi e la cooperazione, TCA, con applicazione provvisoria immediata).

Maggiori informazioni nel comunicato stampa da scaricare